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Cucina PoveraLa Penisola Salentina, il tacco dello Stivale, non è solo una meravigliosa terra di paesaggi incantevoli, mare cristallino e uno scrigno di tesori artistici e architettonici, ma è anche culla di una golosa gastronomia.

Conoscere un popolo attraverso la storia, l’arte, la cultura, le tradizioni, ma anche comprendere la sua identità per mezzo di sapori e colori offerti dalla buona cucina tipica gustando prodotti dai profumi di un tempo passato e che ancora oggi rimangono integri. Questa è la cucina salentina, una cucina povera e semplice che utilizza prodotti di stagione, coltivati dai contadini e perciò sani e nutrienti, impregnati di sapori forti genuini e caserecci; è il risultato di un equilibrio tra tradizione gastronomica contadina e marinara, comprendente piatti dai sapori delicati, ma a volte intensi.

E’ una cucina le cui origini affondano nel passato, al tempo della Magna Grecia e dell’Impero Romano, ma che si è arricchita nel corso dei secoli adottando anche le tradizioni gastronomiche dei tanti popoli che si sono avvicendati sul territorio: Bizantini, Arabi, Normanni, Angioini e Aragonesi.
Iniziamo allora un viaggio attraverso la gastronomia salentina partendo proprio dal pane, l’alimento base di ogni tavola. Impossibile non citare, a questo proposito, le friselle, il pan biscotto che i Messapi, gli antichissimi abitanti della Puglia, hanno mutuato dai coloni greci.
Un pane secco che, inzuppato con acqua e consumato con olio e origano, era ed è ancora uno spuntino perfetto. Secondo Virgilio fu proprio Enea a far conoscere le friselle ai salentini.
Che dire poi dei Ciceri e Tria? Sono tagliatelle “povere”, preparate con farina e acqua, senza l’utilizzo di uova, ma insaporite con un intingolo fatto di ceci e pasta fritta.
L’origine è probabilmente araba, visto che per gli Arabi “tria” era la pasta secca, ma la tradizione cristiana vede in questo piatto un richiamo a San Giuseppe con le trie che ricordano i trucioli prodotti dai falegnami.
Anche le erbe spontanee sono spesso alla base dei piatti salentini, il tarassaco è ottimo ripassato in padella con aglio, olio e peperoncino e lo stesso vale per la cicoria e poi ci sono i lampascioni, cipolle selvatiche dal tipico sapore amarognolo, che vengono fritti per costituire ottimi contorni.
Specialità molto apprezzate sono la famosa “Focaccia Pugliese” condita con olio extra vergine di oliva e pomodorini freschi, le “Pitte”, focacce di patate ripiene, la “Taieddhra” che rappresenta il trionfo della versatilità e del gusto preparata con zucchine, patate, carciofi, pomodori, riso, cipolle e cozze nere.
Tantissimi i primi piatti di questa terra, ci sono le zuppe di legumi, soprattutto di fave e ceci, in cui non mancano però pomodoro, cipolla e aromi, mentre con la farina (sempre senza uova) si impastano le “sagne” e le orecchiette.
Deliziose le sagne ‘ncannullate, condite cioè pomodoro, basilico e la ricotta tipica pugliese, mentre sono celeberrime le orecchiette alle cime di rapa, in cui viene aggiunto anche un pizzico di un trito finissimo di pesce azzurro per dare loro il sapore del mare.
E a proposito di pesce, non si possono non citare piatti come lu purpu ala pignata, il polpo in umido. Tipica di Gallipoli è invece la scapece, un piatto a base di pesce azzurro preparato con zafferano, pangrattato, aceto e olio.

I piatti a base di carne erano scarsi, poiché troppo costosa per i contadini.
In effetti, i meno abbienti mangiavano la carne solo la domenica mischiata con molto pane per fare le polpette, o addirittura solo alcune volte all’anno in occasione delle feste più importanti come Natale, Pasqua e la festa patronale. La carne di cavallo era diffusa in quanto tali animali erano usati per i lavori nei campi e come mezzo di trasporto e solo quando erano troppo vecchi per lavorare servivano come alimento. Nel periodo pasquale, in cui è tradizione mangiare l’agnello, la popolazione consumava gli scarti dell’animale, cioè le interiora. Questi servivano alla preparazione di piatti che oggi sono diventati ricercatissimi per la loro bontà e l’equilibrio dei sapori. Proprio con le interiora dell’agnello si preparavano (e si preparano) i turcineḍḍi, che sono involtini dal sapore deciso e prelibato, speziati con l’utilizzo sapiente di erbe come timo, rosmarino e maggiorana e cotti sulla brace.

La fantasia domina soprattutto nei dolci che risentono dell’influenza del mondo orientale (bizantini e arabi). La presenza di ingredienti quali le mandorle, del miele e della cannella è tipica di molte regioni del vicino oriente e delle coste del mar Mediterraneo. Anch’essi cucinati con pochi ingredienti e spesso fritti nell’ottimo olio di oliva che qui si produce. Bastano farina, zucchero, miele e aromi, come l’anice, per rendere deliziosi i purceddhruzzi e le ‘ncarteddhrate. Fra i tanti dolci salentini che si possono realizzare durante i corsi spicca il “Pasticciotto Leccese”, friabile pasta frolla ripiena di morbida crema pasticcera o il famosissimo “Tiramisù salentino” con caffè e latte di mandorle.
Nelle preparazioni, anzichè strutto o burro, viene prediletto l’utilizzo dell’ottimo olio d’oliva prodotto dalla nostra terra. Il paesaggio salentino è pieno di vigneti e uliveti, per lo più dedicati al vino rosso ed alla produzione di olio extra vergine di oliva, famoso in tutto il mondo. Re e regina della nostra storia millenaria, vino ed olio sono ingredienti essenziali nella cucina salentina.
Il cibo squisito del Salento rappresenta perfettamente l’essenza del Mediterraneo – sole, mare, terreno ricco e culture diverse si fondono i sapori intensi e profumi di prodotti unici di questa regione. Da gustare lentamente, seduti a tavola con la famiglia e gli amici, con un bicchiere di buon vino locale, per vivere insieme momenti unici e conviviali.

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